Black & White Crack
Keith Haring - curated by Davide Di Maggio
Keith Haring - Black & White crack
a cura di Davide Di Maggio
“Dipingerò quanto potrò, per quante persone potrò, per quanto a lungò potrò”
(cit. Keith Haring)
Dopo le mostre di Yoko Ono e Takashi Murakami, la collaborazione con lo spazio Loc di Capo d'Orlando continua con la mostra “Black & white crack” dell'iconico artista americano Keith Haring. Un'occasione per entrare in contatto con le opere dell'artista forse forse più riconoscibile e seguite dagli anni '80 fino ad oggi, interprete del graffitismo metropolitano di periferia, della subcultura di strada e dell'allora diffuso spirito multietnico, un autentica leggenda elevata al rango d'icona. Haring incarna la figura del genio isolato dalla mediocrità che vive seguendo solo il proprio istinto e nessuna regola, disposto a sacrificare qualsiasi cosa pur di realizzare i propri sogni.
E' un eroe postmoderno che colpisce profondamente l'immaginario collettivo contemporaneo. A trentaquattro anni dalla sua morte i giovani d'oggi continuano ad accoglierlo come un idolo intramontabile, quasi fosse una rock-star, una luccicante meteora alla stregua di Jim Morrison o di Ian Curtis. Attraverso alcune opere su tela e una selezione di disegni su carta, rivive il suo segno palpitante, l'irruenza, l'ecclettismo e la feroce energia. Nonostante la sua morte prematura, dovuta all'AIDS, l'immaginario di Haring è diventato un linguaggio visuale universalmente riconosciuto del XX e XXI secolo. Le sue opere fanno ricorso a uno stile immediato e festivo e sono popolate da personaggi stilizzati e bidimensionali, quali bambini, cani, angeli, mostri, televisori, computer, figure di cartoon e piramidi.
La versatilità delle opere di Haring trascende i mezzi espressivi tradizionali, tanto che per dare sfogo al proprio inesauribile estro artistico egli non esitò a sfruttare qualsiasi elemento avesse portata di mano: le sue opere sono tracciate su muri, carrozzerie di automobili, teloni in vinile, capi di abbigliamento, carta, plastica recuperata dagli scarti, e tela. Haring, infatti, perseguiva un modello di «arte per tutti», desiderando di mettere le proprie opere a disposizione del più grande pubblico possibile; ciò era possibile soltanto portando l'arte al di fuori dai musei e dalle gallerie, e ignorando le regole imposte dal mondo del mercato.
“Crack is wack” è un murales che keith Haring dipinse ad Harlem a New York nel 1986, con l'obbiettivo di denunciare la piaga dilagante del crack, una droga molto più economica della cocaina che ha creato gravissimi danni. Un'opera profetica ed un pensiero lungimirante quello dell'artista americano, visto i seri danni che in tempi odierni un'altra droga, ancora più economica, il Fentanyl, sta creando negli Stati Uniti e in quasi tutto il mondo. Haring, si dimostrò sempre assai sensibile al tema dell'AIDS. Ciò, tuttavia, non bastò per Haring, che alla fine contrasse ugualmente il virus; l'artista aveva comunque già da tempo accolto l'eventualità di risultare positivo, avendo affermato di «camminare sulla linea molto sottile che divide la vita dalla morte» per via della «promiscuità presente in ogni angolo di New York».
La sua salute si fece via via sempre più precaria, fino a quando gli fu persino impossibile dipingere. L'ultima opera pubblica che eseguì fu Tuttomondo, sulla parete esterna del convento di Sant'Antonio a Pisa; si tratta dell'ultimo inno alla vita di Haring, e di uno, come lui disse, dei «progetti più importanti che abbia mai fatto». Malgrado la salute declinante, inoltre, Haring fondò la Keith Haring Foundation, che si propone di continuare la sua opera di sostegno alle organizzazioni a favore dei bambini e della lotta contro l'AIDS.
In collaborazione con MCAC - Maurizio Caldirola Arte Contemporanea, Monza