Michael Kienzer - Melted into the Surroundings
a cura di/curated by Lorand Hegyi & Davide Di Maggio
La vitalità del positivo
di Davide Di Maggio
La società di massa non vuole la cultura ma gli svaghi
(cit. Hannah Arendt)
L'arte è movimento da fermo, l'artista è un nomade mentale che si sposta non con il suo corpo, ma con il peso delle idee con cui realizza le sue opere.
Ecco il dinamismo del tempo e della mente convivere con la staticità dello spazio, due cose apparentemente lontane che, grazie ai lavori in mostra di Kienzer, si intrecciano diventando una cosa sola. L'imprevedibilità formale dell'opera dell'artista austriaco viene amplificata sia dagli spazi della Fondazione Mudima, sia dalla consistenza dei materiali, talvolta dalla improbabilità degli accostamenti, e del legame che si spinge al limite dell'incastro e della geometria, producendo un nuovo ordine formale, quasi metafisico, che fonda un nuovo e diverso ordine di comprensione del suo lavoro. Questa nuova comprensione, non arriva solo grazie agli inediti accostamenti, quanto all'utilizzo dei materiali che hanno una relazione evidente con il mondo circostante, che li rende quasi familiari. Nonostante le sue installazioni siano estremamente complesse, questa relazione ci evita di distogliere lo sguardo dalle nostre certezze e di entrare in un altro mondo, dove procedere con cautela, attenuando le difficoltà della loro assimilazione.
Lee Ufan, teorico del gruppo MONO-HA ha scritto:“In verità il lavoro dell’artista, in luogo di dar pace alla mente e serenità alle persone, e tutto volto ad esplorare in che misura lo sguardo possa essere distolto dalle cose che hanno sempre creduto essere la realtà”, e il lavoro di Michael Kienzer sembra un punto di fuga, che non sfugge dalla realtà, bensì si introduce in un altro spazio, allargando un varco che sembrava precluso. Le sue opere non sono né il doppio della realtà, né una contro-realtà, ma un'altra realtà. Lui non è al servizio delle cose che ci circondano, ma sono le cose asservite alla sua immaginazione. Questa mostra, mi ricorda un bellissimo libro dello scrittore argentino Bioy Casares, l'Invenzione di Morel, che racconta di un evaso che per sfuggire alla polizia si rifugia su un'isola. Qui egli osserva nascosto la vita che vi si svolge, pubblica e privata, alla fine scopre di trovarsi di fronte ad una vita irreale, un'altra realtà, riprodotta in una sorta di sequenza cinematografica, da cui è irrimediabilmente attratto e dove rimane per ritrovare la sua esistenza oramai perduta.
Questa mostra, amplifica la voglia di entrare e di restarci. Il nostro occhio assedia l'immagine e corteggia il pensiero dell'artista, cercando di entrare in contatto con quel movimento interiore che rimane proprietà dell'artista. Il visitatore comincia il suo viaggio attraverso forme create come architetture della visione, ed è condotto in una dimensione differente dal reale percepito, un'atmosfera di solitudine, che dovremo imparare ad accettare perché parte del nostro essere, riprendendo il sociologo polacco Zygmunt Bauman e la sua Solitudine del cittadino globale. Una sensazione positiva non un segno di pessimismo, ma di una nuova resurrezione. Come scriveva F. Nietzsche: “per ri-costruire si parte sempre da un'inevitabile distruzione”.
Nell’assenza il pensiero si fortifica, annullando la sicurezza basata sulla fragilità della presenza. L’assenza di qualcuno in verità ci rende liberi di riscoprirci, svincolati da oneri metaforici, di divenire parte integrante delle opere, in cui ci specchiamo e riusciamo a ritrovarci.
I lavori di Kienzer, sono una scoperta, una prospettiva mentale, dove in chi osserva non c'è disagio, perché si raggiunge un equilibrio, un crogiolo esistenziale, un luogo in cui avviene una fertile fusione di elementi differenti, un cuocersi lentamente, in una situazione piacevole, di cui ci si compiace, in cui ci si culla.
La sua è una ricerca lucidissima, che rivela molteplici modi di rinnovare la scultura, una radicale capacità di rimessa in discussione di ogni punto di vista. Ed è da questa spiccata attitudine di sovvertire lo sguardo, che bisogna partire per comprendere il suo lavoro.
L'immagine che Nietzsche riporta degli artisti, è quella di lavoratori, instancabili non solo nell'inventare e sperimentare, ma anche nel respingere e vagliare ogni possibile nuova via. Ritrovo Kienzer, in questa immagine, nelle installazioni, dove c'è la sua capacità di tenere saldamente il controllo, di stabilire un rapporto sia con lo spazio, sia con il tempo e con la sua economia spirituale.
Nella mostra, si crea così una coesistenza pacifica tra i lavori, che superano le nostre barriere, mentali e architettoniche, diventando il frutto di una elaborazione positiva e complessa che ha portato alla loro realizzazione.