Adrian Paci
Adrian Paci nasce a Scutari in Albania, il 28 gennaio 1969 e dal 2000 vive e lavora tra l’Albania e Milano. La sua vicenda artistica è strettamente legata alla terra d'origine, la sua vita privata infatti si intreccia indissolubilmente con la storia e gli eventi politici della sua Nazione d’origine, ai quali spesso allude nelle sue opere. “La società in cui ho vissuto fino a ventidue anni era fortemente politicizzata. Il potere si manteneva in piedi violentando l'individuo e quando si è sgretolato ha portato miseria e disorientamento.” Figlio di un pittore, Adrian Paci si ricorda come da bambino si divertiva a sfogliare i suoi libri, che non poteva leggere perché scritti in russo, ma dei quali apprezzava già le immagini di Rembrandt, Leonardo, Velazquez e Vermeer. Nel 1987 Adrian Paci si iscrive all'Accademia delle Arti di Tirana, istituzione che impartiva una formazione molto conservatrice, circoscritta all'insegnamento della pittura figurativa. È proprio nel corso degli anni novanta, in seguito alla caduta del muro di Berlino, che si risvegliano le coscienze degli albanesi: essi si rendono conto dell'arretratezza non solo economica ma anche culturale nella quale versa il loro paese; basti pensare che, nel 1990, Paci organizza con altri studenti dell'Accademia uno sciopero per rivendicare il libero accesso, in biblioteca, ai libri di Picasso: “In Albania l'informazione sull'arte arrivava fino all'impressionismo. Quello che veniva dopo si considerava arte degenerata e ogni approccio poteva risultare pericoloso. [...] Mi ricordo con quale entusiasmo leggevo per la prima volta nel 1993 Lo spirituale nell'arte di Kandinskij, o i testi di Klee.” Nel 1992 Paci si trasferisce grazie ad una borsa di studio vinta per il corso di “Arte e liturgia” presso l'istituto Beato Angelico, a Milano, città nella quale assapora per la prima volta il gusto della libertà e della democrazia. Ritorna nella terra natia nel 1995, nelle vesti di professore di Storia dell'Arte e di Estetica all'Università di Scutari. In questi anni in Albania inizia ad emergere il malcontento popolare e le proteste contro il regime diventano sempre più violente sino a culminare, nel 1997, nell'anarchia: i ribelli si scontrano con il governo depredando i depositi d'armi e fomentando la guerriglia. Nello stesso anno, proprio per sottrarsi a questi disordini, Adrian Paci torna nuovamente a Milano con la moglie e le due figlie, dove inizia una nuova vita lavorando come manovale, decoratore, restauratore e continuando la sua pratica artistica. Lasciandosi alle spalle i vincoli accademici,inizia in via del tutto sperimentale ad utilizzare altre tecniche oltre alla pittura, cimentandosi nel video, nella fotografia e nell'istallazione: “A eccezione della pittura, che ho studiato per anni, con gli altri media mi sento un dilettante. Mi affido più alla forza dello sguardo che a dei trucchi tecnici.” Adrian Paci sente l'esigenza di raccontare storie di vita, quotidiane o straordinarie, di narrare vicende personali che si trasformano in metafora del vivere collettivo, diventando un'esperienza universale. In collezione Iannaccone vi sono numerose opere dell’artista che spaziano dalla scultura Passages realizzata nel 2009 su due mattoni dipinti con tecnica simile ad affresco, alla fotografia come in Centro di permanenza temporanea sempre del 2009 che fin dal titolo fa riferimento al dramma dell’immigrazione dei giorni nostri, dedicando il lavoro ad un luogo di residenza temporanea per immigrati clandestini. Uno scatto fotografico in cui un gruppo di passeggeri immigrati, ammassati su una rampa di scala sospesa sulla lunga pista di un aeroporto, attendono l’arrivo di un aereo che mai arriverà. Tra le opere pittoriche troviamo invece alcuni dipinti tratti dal filmino amatoriale del suo matrimonio. Paci racconta in un’intervista ad Angela Vettese: “Quella cassetta vhs conteneva un'infinità di frame e in ciascuno di quei frame c'erano attimi di un vissuto di cui mi sentivo ugualmente partecipe ed estraneo, c'erano persone e ambienti a me familiari, ma che allo stesso tempo avevo lasciato. Poi c'era una qualità quasi pittorica nelle immagini sgranate del video, una composizione che potevi decidere con il telecomando in mano, [...] scegliendo tra centinaia di possibilità che venivano fuori bloccando il movimento del video.”