Nam June Paik
Nam June Paik, (Seul, 1932 - Miami, 2006)
Tra i principali animatori di Fluxus, Nam June Paik (Seul, 1932 – Miami, 2006) si è mosso con estrema disinvoltura in diversi ambiti di ricerca, dalla musica alla performance fino alla videoarte, mescolando culture e media differenti e suggerendo nuove possibilità espressive che contrastassero l’omologazione dei linguaggi dell’arte e della tecnologia.
Diplomatosi alla Tokyo University con una tesi sulla musica atonale di Arnold Schöenberg, l’artista coreano si trasferisce in Europa dove studia alle Università di Monaco di Baviera e di Colonia e al Conservatorio di Musica di Friburgo. Paik approda alla musica elettronica collaborando con Herber Eimert e con Karl-Heinz Stockhausen, negli studi WRD di Colonia dal 1958 al 1963. Dopo aver incontrato John Cage nel 1958 e George Maciunas nel 1961 e aver partecipato al Fluxus Internationale Festpiele Neuster Musik di Wiesbadene (1962), nel 1964 si trasferisce a New York, avviando la trentennale collaborazione con violoncellista Charlotte Moormann. L’incontro con Cage, in particolare, determinò un innovativo approccio per la funzione variabile che questi attribuiva al tempo e che verrà declinata da Paik nei suoi lavori attraverso il concetto di “random access”.
Con atteggiamento da precursore, l’artista ha assunto le nuove tecnologie per modificarne l’uso convenzionale e finalizzarlo a nuove possibilità espressive. Alla prima mostra personale alla Galleria Parnass di Wuppertall nel 1963, Paik espone 13 TV: 13 distorted TV sets, facendo subire alle immagini molteplici distorsioni attraverso l’uso di magneti. Per la prima volta compaiono nella sua ricerca apparecchi televisivi modificati e installazioni interattive che, prevedendo la partecipazione del pubblico, si mostrano come opere aperte, imprevedibili e indeterminate, in sintonia con la lezione di Cage anche nel continuo sconfinamento mediale, in cui suono e immagine confluiscono l’uno nell’altro, in una dimensione performativa.
Nel 1965 Paik realizza Café Gogo, lavoro riconosciuto come l’antesignano della successiva videoarte, in cui utilizza la prima telecamera portatile in commercio della Sony per riprendere il traffico a New York durante la visita di Papa Paolo VI. Paik non solo si serve delle tecnologie esistenti, ma ne realizza anche di nuove, tra cui l’Abe-Paik Synthetizer, costruito nel 1970 con l’ingegnere Shuya Abe, sintetizzatore audio-video a colori che gli consente di creare immagini altre rispetto a quelle assunte dalla realtà. Con la trasmissione in diretta, con Joseph Beuys, a Documenta 6 (Kassel, 1977), l’artista inaugura i suoi successivi esperimenti satellitari: nel 1984, con Good Morning, Mr. Orwell, trasmette a Capodanno, dal Centre Pompidou di Parigi e dal Museum of Modern Art di New York, una diretta televisiva satellitare che coinvolge Laurie Anderson, Joseph Beuys, John Cage, Merce Cunningham, Salvador Dalí e Peter Gabriel.
Il suo legame con Napoli risale alle sue mostre a Framart Studio, dove espone nel 1976, e allo Studio Morra (1977 e 1989). Nel 1993 è insignito del Leone d’Oro, con Hans Haacke, alla Biennale di Venezia, in cui espone nel Padiglione della Germania.
L’opera in collezione al Madre, TV Buddha, è una videoinstallazione costituita da un antica statua del Buddha in legno dorato che osserva la propria immagine proiettata sullo schermo di un monitor televisivo a tubo catodico. L’opera prevede anche l’interazione con il pubblico, che, avvicinandosi all’opera, viene ripreso da una telecamera posta sul monitor, entrando a far parte dell’opera stessa a cui sta rivolgendo il suo sguardo. La videoinstallazione suggerisce, dunque, una riflessione critica sulla tv come mezzo di trasformazione dei comportamenti degli individui, facendone emergere le dinamiche seduttive, spesso subliminali, di una tecnologia di ripresa e distorsione della realtà e della sua immagine in quanto televisione, cioè come creatrice di un immaginario in grado di sovrapporsi alla realtà stessa. Inoltre, proprio sulla scia delle considerazioni sulla “musica aleatoria” di Cage, Paik introduce in quest’opera, come in altri video, performance e opere di musica elettronica, riferimenti diffusi al misticismo del buddismo zen, in un incessante confronto tra culture, e quindi religioni o espressioni spirituali, e linguaggi espressivi differenti.
English
Nam June Paik (1932–2006) brought the television to fine art, treating it as a tactile and multisensory medium and object. Trained as a classical pianist, he came into contact with protagonists of the counterculture and avant-garde movements of the 1960s through his early interests in composition and performance, and this engagement profoundly shaped his outlook at a time when electronic images were becoming increasingly present in everyday life. His groundbreaking work is considered seminal to the development of video art.
Born in Seoul, Paik fled with his family in 1950 to escape the Korean War, traveling first to Hong Kong and then to Japan. After graduating from the University of Tokyo in 1956, he moved to West Germany to continue his studies. There he met the composers Karlheinz Stockhausen and John Cage, as well as the conceptual artists George Maciunas and Joseph Beuys, all of whom deeply affected his thoughts on performance. He joined the Fluxus group in 1962 and moved from the manual manipulation of audiotapes to experimenting with television sets and their screens. Two years later, by this time living in New York, Paik met the cellist Charlotte Moorman, a central figure of the city’s avant-garde, and the two began a collaboration that would last until her death in 1991. Paik created many of his most well-known works for Moorman, including TV Bra for Living Sculpture (1969) and TV-Cello (1971).
Prior to moving to the United States, Paik had met the engineer Shuya Abe, who would also become a longtime collaborator as well as his assistant. Abe helped Paik make his first robot, Robot K-456, in 1964. Composed of metal fragments, fabric, a data recorder, and a loudspeaker that plays recordings of speeches by John F. Kennedy, Robot K-456 captures Paik’s interest in merging popular media and technology with human traits; possessing abstracted breasts and penis, it moves on wheels and is programmed to periodically defecate beans. Paik showed this remote-controlled robot in several exhibitions and performances in New York throughout the 1960s. In 1982, during his first major museum exhibition at the Whitney Museum of American Art, he took Robot K-456 out into the street to orchestrate an “accident”: the robot walked down Madison Avenue and was hit by a car as it attempted to cross 75th Street. For Paik, this spectacle represented a “catastrophe of technology in the twentieth century.”
Alongside his robotic works, Paik maintained a dynamic drawing practice, both in works on paper and in multimedia sculptures and installations. His modified television sets, in particular, combine the moving image with the free, expressive gesture of abstraction; using brightly colored markers, paints, and other materials, Paik would add expressive layers to the screens. Lion (2005), a monumental assemblage comprising twenty-eight television screens and a hand-painted guardian lion sculpture framed within a wooden arch, displays fast-paced montages of flowers, animals, and fish, as well as footage of lions and Merce Cunningham dancing. Lion is emblematic of Paik’s late style, in which he often reflected upon the many artists and performers who influenced his oeuvre.