La face autre de l'autre face
Musée Urbain Cabrol - Villefranche de Rouerghe a cura di / curated by Davide Di Maggio
Musée Municipale Urbain Cabrol
La face autre de l'autre face
di Davide Di Maggio
Daniela Alfarano I Renata Boero I Claudio Gobbi I Francesco Jodice I Giovanni Manfredini I Margherita Manzelli I Sabrina Mezzaqui I Federico Pietrella I Alfredo Pirri I Andrea Salvino I Andrea Santarlasci I Nerina Toci I Alessandro Verdi I Nicola Samorì I Nicola Verlato I Francesco Vezzoli
con la partecipazione di : Gabriele Basilico I Mario Caio Garrubba I Uliano Lucas I Ugo Mulas
In un'epoca dove i canoni di bellezza sono radicalmente cambiati, dove la nostra vita scorre in uno stato semipermanente di anestizzazione dalla gioia, dal dolore, dalle immagini che “sgorgano” a ritmo frenetico e continuo, questa mostra vuole porre una resistenza forte, per non essere a sua volta metabolizzata in una forma effimera che non le appartiene.
Vuole riportare, attraverso i sensi, ad un alto livello percettivo che non implica il guardare, ma il vedere e il sentire.
Inquieti e instancabili contemplatori del mondo e sfrenati inghiottitori di tutte le sensazioni che esso produce, gli artisti in mostra cercano di cogliere una profonda armonia nella disarmonia della vita, e le loro opere disseminate nei bellissimi spazi del museo Muc di Villefranche, hanno forme e significati assoluti, non sono simboliche ma nascono dalla necessita' degli artisti di non creare nuovi simulacri passeggeri, ma di dare forma ad una nuova bellezza nell'irrealtá che ci circonda.
L'arte deve assumersi la responsabilitá e, perché no, l'autorevolezza, di creare un opposizione, una controffensiva efficace rispetto un determinato fine. Per quanto piccolo possa essere, il segno dell'artista si deve caricare sempre di un'energia nuova, positiva e profonda rispetto all'effimero della vita.
Come diceva Joseph Brodskij l'arte e' un “sommesso colloquio privato”.
In un periodo di ipercomunicazione urlata e sfrenata, l'arte non deve avere più questo come obbiettivo, ma deve potere fare qualcosa di piu' che comunicare il mondo gia' spiegato. L'intento di questa mostra e' non tanto di svelare le opere, ma l'artista stesso, in quanto punto di riferimento e centralita', di fare avvicinare il visitatore, nei limiti del possibile, alla parte oscura, mantenendo pero' ineludibile quella nascosta e inafferabile presente in ogni lavoro.
Proust diceva che le cose che sentiamo vengono lasciate sempre alle soglie della frase che diciamo; questa mostra tenta di vincere questa resistenza, trovando la forma più vicina al superamento di questa soglia.
Il progetto evidenzia, attraverso le opere di sedici artisti, il concetto, non il risultato e le opere in mostra appaiono come le uniche forme possibili in questo momento e per questa specifica situazione, nascendo dalla “lotta” di resistenza che gli artisti hanno messo in atto contro l'invisibile che li circonda.
La componente emotiva ha un ruolo prevalente. Tutte le opere selezionate per la mostra sono state scelte per riflettere la relazione tra gli artisti e la loro responsabilità nei confronti della società, seguendo l'idea che l'arte deve creare un'opposizione e il segno dell'artista è l'unica cosa che può produrre una nuova prospettiva.
Oltre all’aspetto formale delle opere, gli artisti avranno un ruolo centrale nella mostra. “Ritrarre” (re-trahere) significa “tirar fuori, ricavare l’effige, il simulacro di un individuo.
“L'inquietudine del volto dell'arte”, farà parlare, soprattutto attraverso lo sguardo, ansie, sussurri, cenni d’intesa, esitazioni, dolore. L’immagine diventa allora così “verosimile” da rubare la vita ai viventi, in grado di commuovere e durare più della realtà.
Nella galleria ideale degli artisti in mostra scorrono opere diverse, in posa o naturali, celebrative, allegoriche, evocative, avvincenti, struggenti, paralizzanti, rasserenanti.
In tutte si riconoscono non personaggi ma gli uomini e le donne che le hanno create, presenti e fragili con le loro debolezze, che interrogano la vita o si preparano alla morte.
Un insieme di volti, la parte che subito attrae, nel ritratto come nella realtà, la curiosità e l’indagine di chi guarda. Lo sguardo, velo dell’anima, maschera e rifugio, apre infine la “porta del cuore”, e consente il passaggio dall’esteriorità dell’esperienza all’intimità dell’essere.
Lo sguardo dell'arte può “svelare” o suggellare per sempre.
Su cosa basiamo il nostro giudizio estetico quando osserviamo un’opera d’arte? Giudichiamo una cosa bella e attraente, ma esattamente cos’è che stiamo guardando e valutando? Sono i misteri dell'arte, e vano è il tentativo di definirla. Da sempre oggetto di studio e di grande interesse, l'opera d'arte non ha mutato nel tempo il suo carattere misterioso ed affascinante, entro il quale e tramite mezzi del tutto diversi, le personehanno cercato di penetrarla per tentare di coglierne ulteriori segreti. Charles Baudelaire scriveva che “Lo studio dell'arte è un duello in cui uno urla di spavento prima ancora di essere vinto...”
Non è stato mai facile, affrontare un'opera d'arte. Emblema del tangibile, essa rappresenta un immediato mezzo di comunicazione con l’esterno, permettendoci, grazie all'infinito magnetismo di cui è colma, di farci conoscere il mondo attraverso percezioni sensibili dirette, tattili, del tutto soggettive.
Indiscussa protagonista dell’atto creativo, l'opera d'arte è stata fonte di ispirazione e oggetto di ricerca sin dai tempi dell’età classica, dall’era delle forme scolpite a mano sul marmo, quando gli artisti partivano dallo studio dei corpi reali per giungere alla rappresentazione di figure umane idealizzate, grazie all’aiuto di canoni basati su rapporti proporzionali armonici.
Artisti come Policleto, Fidia, Leonardo e Michelangelo hanno infatti dato vita a opere caratterizzate da una forma di «naturalismo idealizzato», ossia da un grande equilibrio tra realismo e astrazione delle forme, giungendo ad una bellezza pura, quasi mistica. Nella Grecia del V secolo, la scultura di Fidia e di Policleto, raggiunse gradi elevatissimi per quanto riguarda la canonizzazione della bellezza. L’atleta infatti era considerato il soggetto preferito per la scultura, tanto da diventare anche modello per le rappresentazioni degli dèi. La figura umana nell’arte doveva riflettere non solo le qualità fisiche ma anche quelle morali come coraggio e volontà raffigurate tramite proporzioni e prestanza fisica. Anche il Rinascimento, riportò in auge il gusto classico dell'opera d'arte come simbolo di prosperità, grazia ed eleganza.
Nel corso dei secoli, però, con l’evoluzione del pensiero introspettivo, segnato dal ricordo di eventi storici drammatici e l’inevitabile disillusione che ne conseguì, ci si allontanò sempre di più dalla vana ricerca di bellezza, tendendo ad una visione della realtà che risultò essere fedele solo in funzione di ciò che è realmente. Cambiò il modo di guardare il mondo, di scavare dentro se stessi, e le immagini si deformarono sotto lo sguardo dell’artista, immerso in un continuo viaggio per trovare, non più i punti di congiunzione con il divino e la bellezza, ma ogni cosa lo potesse legare maggiormente a dei tratti terreni.
L’opera d’arte si identificò nel genio, nel talento naturale, tramite il quale la natura dà le regole all’arte. Il genio non si rende conto dei processi che segue nel proprio far arte, perché le idee nascono in modo spontaneo. Solo negli ultimi tempi, ora che quel periodo può essere guardato dalla dovuta distanza, si sta cercando di fare fronte alla deriva estetica e culturale della nostra società. L'arte è la chiave per accedere alla bellezza, all'armonia, al divino. Un fiume di sensibilità, emozioni, poesia, che scorre da secoli. Questo fiume non può fare a meno della bellezza dell'opera d'arte, rischiando di inaridirsi prima di arrivare al mare. Non può avere dighe o dogmi che ne fermino il suo naturale percorso.
Nell'epoca che stiamo vivendo, la ragione non ha saputo più dare un senso alle cose e sta portando all’annichilimento. Quale futuro attende l’uomo senza più la certezza della ragione? Gli artisti mettono in opera questo smarrimento. La ragione ha tradito, e non guida più le azioni dell’uomo e dell’artista: a questa si sostituisce il caos e l’irrazionalità. Nessuna norma o struttura razionale è ora alla base dell’opera d’arte, nessuna idea precede l’atto creativo, ma questo diviene da sé, seguendo delle leggi irrazionali.
L’arte non è più progetto ponderato, costruzione misurata. Non c’è più osservazione e imitazione della realtà, rimane solo la “materia”, che sembra vivere di vita propria all’interno dell’opera e il caos ne regola il divenire. Si esprime in questo modo tutto il disagio e l’inquietudine di tempi difficili e, osservando con attenzione le opere in mostra, questo si riesce a percepire immediatamente. Tutte ci raccontano la fatica di vivere e ce ne trasmettono l’angoscia lasciando tuttavia, che questa, in qualche misura, si plachi, e scompaia, perché alla fine l'arte nel suo divenire caotico riesce a raggiungere sempre un equilibrio.
Mentre l´uomo moderno tiene dentro di sé il suo malessere interiore, gli artisti in mostra riescono a trasmetterci qualsiasi loro sensazione attraverso le loro opere: l'arte permette loro di esternare le loro inquietudini più profonde, i loro lavori diventano un vero e proprio spazio pulsante dove esprimere il proprio tormento e penetrare nell'animo dell'osservatore, comunicando attraverso il senso di disagio la crisi e la solitudine dell'uomo moderno.
Le immagini, i volti, i luoghi, le storie, anche se non ci appartengono, ci diventano familiari, perché il nostro percorso alla fine è simile, se non uguale al loro, le loro inquietudini sono le nostre, le loro domande senza risposta sono quelle che anche noi ci facciamo, le loro storie sono le nostre storie.
Allora torniamo ad invocare l'aiuto delle Muse, di quelle Muse mitologiche che proteggevano le arti e che venivano invocate dagli artisti per ricevere ispirazione al loro fare artistico, a cercare quella strada che ci faccia superare indenni le nostre psicosi. L'arte deve poter salvare il mondo, per lo meno andare verso questa direzione, e questo è anche il tentativo di questa mostra.
Musée municipal Urbain Cabrol
La face autre de autre face
par Davide Di Maggio
À une époque où les canons de la beauté ont radicalement changé, où notre vie coule dans un état d'anesthésie semi-permanent de joie, de douleur, d'images qui "coulent" à un rythme frénétique et continu, cette exposition veut mettre en place une forte résistance, ne pas être à son tour métabolisé sous une forme éphémère qui ne lui appartient pas.
Il veut ramener, à travers les sens, à un niveau de perception élevé qui n'implique pas regarder, mais voir et ressentir.
Contemplateurs agités et infatigables du monde et avaleurs effrénés de toutes les sensations qu'il produit, les artistes exposés tentent de capturer une profonde harmonie dans la disharmonie de la vie, et leurs œuvres éparpillées dans les beaux espaces du musée Muc à Villefranche, ont des formes et des significations Absolues, elles ne sont pas symboliques mais naissent du besoin des artistes de ne pas créer de nouveaux simulacres passagers, mais de donner forme à une nouvelle beauté dans l'irréalité qui nous entoure.
L'art doit assumer la responsabilité et, pourquoi pas, le pouvoir de créer une opposition, une contre-offensive efficace par rapport à un objectif précis. Aussi petit soit-il, le signe de l'artiste doit toujours être chargé d'une énergie nouvelle, positive et profonde par rapport à l'éphémère de la vie.
Comme l'a dit Joseph Brodsky, l'art est une "conversation privée modérée".
Dans une période d'hypercommunication criée et débridée, l'art ne doit plus avoir cela comme objectif, mais doit pouvoir faire autre chose que communiquer le monde déjà expliqué. L'intention de cette exposition n'est pas tant de révéler les œuvres, mais l'artiste lui-même, en tant que point de référence et centralité, pour rapprocher le plus possible le visiteur de la partie sombre, tout en conservant cet incontournable présent caché et peu fiable dans chaque travail.
Proust a dit que les choses que nous entendons sont toujours laissées au seuil de la phrase que nous disons; cette exposition tente de surmonter cette résistance, trouvant la forme la plus proche de dépasser ce seuil.
Le projet met en avant, à travers les œuvres de seize artistes, le concept et non le résultat et les œuvres exposées apparaissent comme les seules formes possibles à ce moment et pour cette situation particulière, résultant de la «lutte» de résistance que les artistes ont mise en agir contre l'invisible autour d'eux.
La composante émotionnelle a un rôle prédominant. Toutes les œuvres sélectionnées pour l'exposition ont été choisies pour refléter la relation entre les artistes et leur responsabilité envers la société, suivant l'idée que l'art doit créer une opposition et que le signe de l'artiste est la seule chose qui peut produire une nouvelle perspective.
Outre l'aspect formel des œuvres, les artistes joueront un rôle central dans l'exposition. "Retracting" (re-trahere) signifie "retirer, dériver l'effigie, le simulacre d'un individu.
"L'agitation de la face de l'art" provoquera des angoisses, des chuchotements, des signes de compréhension, des hésitations et de la douleur à parler, notamment à travers le regard. L'image devient alors «susceptible» de voler la vie des vivants, capable de bouger et de durer plus longtemps que la réalité.
Dans la galerie idéale des artistes exposés coulent différentes œuvres, posantes ou naturelles, festives, allégoriques, évocatrices, irrésistibles, poignantes, paralysantes, apaisantes.
En tout on ne reconnaît pas les personnages mais les hommes et les femmes qui les ont créés, présents et fragiles avec leurs faiblesses, qui remettent en question la vie ou se préparent à la mort.
Un ensemble de visages, la partie qui attire immédiatement, dans le portrait comme dans la réalité, la curiosité et l'investigation du spectateur. Le regard, voile de l'âme, masque et refuge, ouvre enfin la «porte du cœur», et permet le passage de l'extériorité de l'expérience à l'intimité de l'être.
Le regard de l'art peut "révéler" ou sceller à jamais.
Sur quoi fondons-nous notre jugement esthétique lorsque nous observons une œuvre d'art? Nous jugeons une chose belle et attrayante, mais qu'est-ce que nous regardons et évaluons exactement? Ce sont les mystères de l'art, et la tentative de le définir est vaine. Toujours un objet d'étude et d'un grand intérêt, l'œuvre d'art n'a pas changé son caractère mystérieux et fascinant au fil du temps, au sein duquel et par des moyens complètement différents, les gens ont essayé de la pénétrer pour tenter de cueillir d'autres secrets. Charles Baudelaire a écrit que "L'étude de l'art est un duel dans lequel on hurle de peur avant même d'être gagné ..."
Il n'a jamais été aussi simple de faire face à une œuvre d'art. Emblème du tangible, il représente un moyen de communication immédiat avec le monde extérieur, nous permettant, grâce au magnétisme infini dont il est plein, de nous faire connaître le monde à travers des perceptions sensibles directes, tactiles et totalement subjectives.
Protagoniste incontesté de l'acte créatif, l'œuvre d'art est depuis une source d'inspiration et un objet de recherche depuis l'époque classique, depuis l'ère des formes sculptées à la main sur le marbre, lorsque les artistes sont partis de l'étude des corps réels pour arriver à la représentation des figures humaines idéalisé, grâce à l'aide de canons basés sur des rapports proportionnels harmoniques.
Des artistes comme Policleto, Fidia, Leonardo et Michelangelo ont en effet donné vie à des œuvres caractérisées par une forme de "naturalisme idéalisé", c'est-à-dire par un grand équilibre entre réalisme et abstraction des formes, atteignant une beauté pure, presque mystique. En Grèce au Ve siècle, la sculpture de Phidias et Polyclète a atteint des degrés très élevés en ce qui concerne la canonisation de la beauté. En fait, l'athlète était considéré comme le sujet de prédilection de la sculpture, à tel point qu'il devint également un modèle pour les représentations des dieux. La figure humaine dans l'art devait refléter non seulement des qualités physiques mais aussi morales telles que le courage et la volonté représentés par des proportions et des prouesses physiques. La Renaissance a également ravivé le goût classique de l'œuvre d'art comme symbole de prospérité, de grâce et d'élégance.
Au fil des siècles, cependant, avec l'évolution de la pensée introspective, marquée par la mémoire d'événements historiques dramatiques et la désillusion inévitable qui s'en est suivie, nous nous sommes éloignés de plus en plus de la vaine recherche de la beauté, tendant vers une vision de la réalité qui il s'est avéré être fidèle uniquement en fonction de ce qu'il est réellement. La façon de regarder le monde, de creuser en soi a changé, et les images déformées sous le regard de l'artiste, plongées dans un voyage continu pour trouver, non plus les points de conjonction avec le divin et la beauté, mais tout pourrait le lier davantage aux voies terrestres.
L'œuvre d'art a été identifiée dans le génie, dans le talent naturel, à travers lequel la nature établit les règles de l'art. Le génie ne réalise pas les processus qu'il suit dans sa création artistique, car les idées surgissent spontanément. Ce n'est que récemment, maintenant que cette période peut être regardée à la distance nécessaire, que nous essayons de faire face à la dérive esthétique et culturelle de notre société. L'art est la clé pour accéder à la beauté, à l'harmonie, au divin. Un fleuve de sensibilité, d'émotions, de poésie, qui coule depuis des siècles. Cette rivière ne peut se passer de la beauté de l'œuvre d'art, risquant de s'assécher avant d'atteindre la mer. Il ne peut pas avoir de barrages ou de dogmes qui arrêtent son chemin naturel.
À l'époque où nous vivons, la raison n'a plus pu donner de sens aux choses et conduit à l'anéantissement. Quel avenir attend l'homme sans la certitude de la raison? Les artistes mettent en œuvre cette perplexité. La raison a trahi et ne guide plus les actions de l'homme et de l'artiste: elle est remplacée par le chaos et l'irrationalité. Aucune norme ou structure rationnelle n'est désormais à la base de l'œuvre d'art, aucune idée ne précède l'acte créateur, mais cela devient par lui-même, suivant des lois irrationnelles.
L'art n'est plus un projet pondéré, une construction mesurée. Il n'y a plus d'observation et d'imitation de la réalité, il ne reste que la «matière» qui semble vivre sa propre vie dans l'œuvre et le chaos régule son devenir. Cela exprime tout l'inconfort et l'agitation des moments difficiles et, en observant attentivement les œuvres exposées, vous pouvez immédiatement le percevoir. Tous nous parlent cependant de la difficulté de vivre et de transmettre leur angoisse, laissant cela, dans une certaine mesure, se calmer et disparaître, car en fin de compte l'art en devenant chaotique parvient toujours à trouver un équilibre.
Alors que l'homme moderne garde en lui son malaise intérieur, les artistes exposés parviennent à transmettre chacun de leurs sentiments à travers leurs œuvres: l'art leur permet d'exprimer leurs préoccupations les plus profondes, leurs œuvres deviennent un réel un espace palpitant où vous pouvez exprimer votre tourment et pénétrer l'âme de l'observateur, communiquant à travers le sentiment de malaise la crise et la solitude de l'homme moderne.
Les images, les visages, les lieux, les histoires, même s'ils ne nous appartiennent pas, nous deviennent familiers, car au final notre chemin est similaire, sinon égal aux leurs, leurs préoccupations sont les nôtres, leurs questions sans réponses sont ce que nous faisons aussi, leurs histoires sont nos histoires.
Revenons donc à l'invocation de l'aide des Muses, de ces Muses mythologiques qui ont protégé les arts et qui ont été invoquées par les artistes pour recevoir l'inspiration de leur travail artistique, pour chercher cette voie qui nous fera surmonter indemnes nos psychoses. L'art doit pouvoir sauver le monde, au moins aller dans ce sens, et c'est aussi la tentative de cette exposition.